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10.03.2021
Relazioni UE-Cina – Verso un partenariato equo e reciproco
"Per avere dei principi, occorre prima avere coraggio" – Proverbio cinese
Gli antichi imperatori cinesi sostenevano che il mandato di governare fosse stato loro conferito da un'entità sovrannaturale. Essi ritenevano che il Divino avesse consacrato la Cina come "Terra di mezzo", centro del mondo, l'impero più potente, armonioso, ricco e saggio mai esistito. Le narrazioni contemporanee, rese popolari dal Partito comunista cinese, s'ispirano con forza al passato. Esse raccontano di come, per cinquemila anni, la Cina sia stata al centro del mondo, fino al sopraggiungere dell'innaturale perturbazione dell'Ordine sacro causata dalle potenze occidentali. Oggi, i leader cinesi promettono di ripristinare lo status che la Cina meriterebbe e, quindi, lo stato "naturale" del mondo.
Come tutte le narrazioni storiche, anche quella cinese è un insieme di fatti provati e affermazioni ideologiche. L'idea che la Cina abbia "più storia" rispetto ad altri paesi non è corroborata dalla ricerca archeologica. La storia cinese è stata peraltro contrassegnata da periodi di potere, declino, regni in guerra, dominazione straniera e cambiamenti radicali propiziati da idee e influenze straniere. Il fatto che un partito che per ideologia si ispira a Marx, Lenin, Mao, Deng e ora Xi sostenga di avere un mandato che deriva dal Divino è più che opinabile.
Nell'ordine multilaterale del XXI secolo basato sulle regole, non possono essere i racconti storici trasformati in ideologica nazionalcomunista a definire le relazioni. Questa, infatti, può essere un'arma a doppio taglio, poiché ogni Paese potrebbe dissotterrare "comprovate" lamentele storiche nei confronti dei propri vicini. Se vogliamo salvaguardare la pace e la cooperazione rispettosa tra i nostri vicini in Europa e Asia, non possiamo permettere che mappe vecchie disegnate secoli fa abbiano la precedenza sul diritto internazionale per definire confini e affiliazioni territoriali.
La Cina, con la sua storia ricca di eventi, la sua florida cultura, la filosofia e un artigianato innovativo, è stata per molti secoli oggetto di attrazione, ispirazione e bramosie più o meno sincere da parte degli europei.
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A marzo 2019, la Commissione europea ha definito la Repubblica popolare cinese un partner di cooperazione, un partner negoziale con interessi contrastanti, un concorrente economico e un rivale sistemico.
Le conseguenze politiche della pandemia di COVID-19 e l'imposizione della cosiddetta legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong, un più aggressivo perseguimento degli obiettivi a lungo termine nei confronti dello Xinjiang, del Tibet e di Taiwan, il disprezzo dimostrato per il sistema multilaterale e gli accordi internazionali, la diffusione dell'influenza negativa della Cina, nonché il mancato rispetto degli obblighi relativi ai diritti umani fondamentali ci portano a ritenere obsoleto questo approccio basato su quattro pilastri. In quanto partner dell'UE, la Cina dovrebbe rispettare gli obblighi internazionali che ha sottoscritto, cosa che non ha ancora fatto. La rivalità sistemica può essere considerata sempre di più il paradigma dominante nelle nostre relazioni, anche se non dovremmo dimenticare la necessità di portare avanti il nostro dialogo con la Cina.
Dobbiamo riconoscere le posizioni sempre più assertive dell'attuale leadership cinese, che ha abbandonato l'approccio collettivo per abbracciare un rinnovato culto della personalità. Lo scontro globale tra democrazia e autoritarismo è uno degli importanti fattori che determinano la nostra relazione con la Cina e questo ha portato a un assottigliamento dello spazio per la cooperazione e gli scambi economici.
Nel 2020, la Cina è stato il primo partner commerciale dell'UE: ciò fuga ogni dubbio circa il fatto che le relazioni economiche e commerciali debbano essere al centro della cooperazione UE-Cina, ma non devono esserne l'unico motore. Tuttavia, i vantaggi non sono equilibrati. Entrambe le parti sono in disaccordo in merito alla questione fondamentale dei valori e delle norme su cui è stato fondato l'attuale ordine internazionale post-bellico: mentre a guidare l'Europa è il suo rispetto per la democrazia, lo Stato di diritto e i diritti umani, la Cina si presenta come uno Stato autoritario monopartitico. Nonostante ciò, dobbiamo cercare di trarre il massimo vantaggio dalla nostra interdipendenza economica e porre rimedio agli squilibri esistenti.
Le aziende europee sono allarmate dal deterioramento del clima imprenditoriale e dalla concorrenza sempre più sleale esercitata dalle imprese cinesi, sia in Cina che altrove nel mondo. A questo si aggiunge un approccio più ostile dei diplomatici cinesi nei confronti dei singoli Stati membri e dell'Unione nel suo insieme. Le università, i ricercatori, i giornalisti e gli attori della società civile europei subiscono pressioni, censure e minacce non solo quando lavorano in Cina, ma anche nelle attività che svolgono in Europa. Ciò si verifica quando le autorità cinesi concludono che le loro dottrine e politiche ufficiali sono messe in discussione, il che ha ripercussioni dirette sulla proliferazione dei valori europei e sulla parità ed equità di condizioni per imprese e cittadini.
I cittadini europei ritengono che l'assertività e la crescente presenza cinese negli Stati membri metta a repentaglio il loro stile di vita europeo. L'Europa teme che l'assenza di una regolamentazione trasparente, equa e paritaria danneggi la concorrenza e faccia più male che bene alla vita dei suoi cittadini.
La cooperazione quale soluzione ai problemi globali
Tenendo presenti queste sfide, vogliamo collaborare con la Cina in ambiti di interesse comune. Con una popolazione di 1,4 miliardi di persone che rappresenta un mercato vasto, una delle tre maggiori economie mondiali, uno dei Paesi più ricchi del mondo, il più grande esportatore mondiale – nonché una delle potenze nucleari e membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – la Cina è indispensabile per affrontare le sfide globali.
Il Paese è oggi un partner strategico per l'Unione europea nella lotta ai cambiamenti climatici e nella transizione globale verso fonti di energia rinnovabili. La Cina è firmataria dell'accordo di Parigi sin dal 2016, sebbene attualmente sia il maggior produttore mondiale di gas a effetto serra e di anidride carbonica (quasi il 30 % delle emissioni globali). Chiediamo quindi al governo cinese di onorare gli impegni assunti e ci attendiamo che riduca le emissioni entro il 2030 e che consegua la neutralità in termini di carbonio entro il 2060. Da parte nostra, offriamo una cooperazione industriale per mettere a punto soluzioni ad alto contenuto tecnologico, specialmente nel campo dell'idrogeno verde. L'UE, inoltre, è favorevole alla cooperazione con Pechino per garantire stabilità e crescita sostenibile nei Paesi in via di sviluppo. Tuttavia, le differenze sistemiche e l'approccio strettamente utilitaristico spesso adottato dalle autorità cinesi hanno finora ostacolato azioni di questo tipo. Ecco perché ci opponiamo con forza all'approccio insostenibile adottato dalla Cina nella cooperazione con l'Unione africana e i Paesi africani in settori quali l'accesso alle materie prime, lo sfruttamento di nuovi mercati, i diritti umani e le problematiche ambientali e climatiche.
Entrambe le parti hanno identificato nella lotta al terrorismo internazionale un altro potenziale ambito di cooperazione. Tuttavia, la definizione di terrorismo adottata dalle autorità di contrasto e dalla giurisdizione cinesi risulta vaga. Inoltre, le accuse di terrorismo vengono spesse utilizzate in modo arbitrario e retroattivo per colpire chi protesta pacificamente e difende i diritti delle minoranze, fatto sempre più evidente nello Xinjiang, in Tibet e ad Hong Kong. Pertanto, fino a quando esisteranno tali pratiche, la cooperazione nella lotta al terrorismo non potrà che restare limitata.
Nonostante le nostre differenze, dovremmo continuare a impegnarci in un dialogo strutturato con la Cina per far fronte alle sfide globali quali i cambiamenti climatici, l'immigrazione illegale, il ripristino di un sistema di scambi e di arbitrato basato sulle regole nel quadro dell'OMC nonché l'introduzione di meccanismi efficaci per regolamentare i mercati finanziari. Molto dipenderà però dalla disponibilità della Cina a rispettare le norme e le regole internazionali.
Difendere l'ordine internazionale basato sulle regole
Il commercio internazionale e l'accesso ai nuovi mercati hanno migliorato moltissimo il tenore di vita delle persone in tutto il mondo e contribuito alla creazione di posti di lavoro, a una crescente prosperità e alla riduzione della povertà globale. Rinnoviamo quindi il nostro impegno a costruire un sistema di scambi globali aperto ed equo, ispirato a un ordine multilaterale e basato sulle regole e fondato saldamente sui valori democratici. Per conseguire quest'obiettivo, l'Unione dovrà collaborare costruttivamente con i suoi partner.
Il sostegno a un mondo multipolare e a un ordine internazionale basato sulle regole è ancora una pietra miliare dichiarata della politica estera cinese. Il presidente Xi Jinping ha più volte ribadito l'importanza dell'ordine multilaterale globale, anche durante un suo significativo intervento a Davos, nel 2017:
"È vero, la globalizzazione economica ha creato nuovi problemi. Ma questa non può essere una giustificazione per cancellarla completamente. Piuttosto, dovremmo adattarci alla globalizzazione e guidarla, attenuare il suo impatto negativo e assicurarne i benefici a tutti i Paesi e a tutte le nazioni."
Non va poi sottovalutato il fatto che il sostegno dichiarato dalla Cina all'ordine multipolare e l'impegno di questo Paese a favore di un ordine basato sulle regole non reggono a una verifica accurata. Nelle organizzazioni internazionali, Pechino tende ad applicare le regole comuni solo quando conviene ai suoi interessi, salvo poi dichiararle inadatte alle sue esigenze specifiche o ignorarle, ricorrendo a interpretazioni arbitrarie delle stesse. Gli sviluppi che interessano l'OMC, l'OMS e il Tribunale internazionale del diritto del mare dimostrano quanto la legittimità di queste organizzazioni internazionali sia minacciata, e questo si traduce in una ridotta capacità di comporre i conflitti bilaterali in un contesto multilaterale.
Allo stesso tempo, la politica estera cinese è diventata più assertiva e la sua diplomazia più aggressiva, specialmente sotto la leadership di Xi Jinping. Sulla scena mondiale la Cina intende assumere un ruolo di maggior rilievo, che rifletta la sua rapida ascesa. I diplomatici cinesi hanno sostituito la massima di Deng Xiaoping "nascondi la tua forza, aspetta il tuo momento" con una "diplomazia del guerriero lupo".
La cosiddetta legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong costituisce una violazione dell'impegno assunto dalla Cina nella dichiarazione congiunta sino-britannica del 1984, che sancisce il principio "un paese, due sistemi" per Hong Kong. La nuova legge non solo mina gli accordi internazionali in vigore, ma anche l'autonomia e le libertà di Hong Kong, da tempo consolidate. Dalla sua entrata in vigore, il rispetto dei diritti umani nella città è andato rapidamente deteriorandosi. La nuova legge è uno strumento per mettere a tacere i dissidenti, effettuare arresti di massa degli attivisti per la democrazia, sopprimere la libertà di espressione e riunione e prendere di mira giornalisti e rappresentanti del mondo accademico.
Taiwan, la 7a economia asiatica per dimensioni, con una democrazia stabile e pluralistica, agli occhi di Pechino appare come una "provincia traditrice". Il presidente Xi Jinping ha fissato al 2049, centenario della fondazione della Repubblica popolare cinese, il termine per "riunificare" la Repubblica popolare cinese e la Repubblica di Cina con qualunque mezzo necessario, il che è destabilizzante e pericoloso allo stesso tempo. Il Gruppo PPE si dichiara profondamente preoccupato per l'intensificazione delle manovre militari cinesi contro Taiwan, che mettono gravemente a rischio la pace e la stabilità nella regione, e ribadisce la sua posizione secondo cui entrambe le parti devono astenersi dall'intraprendere azioni unilaterali e dal ricorrere all'uso della forza. Noi riteniamo che l'unificazione tra Taiwan e la Cina – se mai avverrà – debba scaturire unicamente dalla volontà democratica del popolo taiwanese e della Repubblica popolare cinese.
Il Gruppo PPE è impegnato a difendere l'ordine multilaterale basato sulle regole e la supremazia dello Stato di diritto nelle relazioni internazionali. Anche le organizzazioni internazionali che sono il pilastro di quest'ordine, peraltro, devono adeguarsi a un mondo che cambia. Questo traguardo può essere raggiunto solo attraverso negoziati multilaterali in cui sia garantita la partecipazione e la rappresentazione paritarie di tutti i portatori di interessi.
Rivalità sistemica – Difendere gli interessi europei
Nei 46 anni trascorsi dall'instaurazione delle relazioni diplomatiche tra l'Unione europea e la Repubblica popolare cinese, nel 1975, le due parti hanno sviluppato uno stretto legame politico, economico e culturale inserito in una rete di dialogo ad alto livello. Sin dai primi giorni della "riforma e apertura" al mondo della Cina, le imprese, gli ingegneri e le università dell'UE hanno concorso allo sviluppo del paese attraverso gli investimenti, la tecnologia e la ricerca, cui si sono aggiunti considerevoli aiuti allo sviluppo dell'UE. Questo impegno è stato propiziato dall'idea che la Cina, alla fine, avrebbe liberalizzato il proprio sistema economico e forse anche la sua politica. Ci attendevamo una trasformazione in un'economia di mercato e una graduale apertura per scambi economici, scientifici e culturali senza impedimenti.
Oggi, dobbiamo riconoscere che le nostre speranze rimangono disattese.
La Cina ha certamente il diritto di scegliere quale debba essere il suo percorso di sviluppo; cionondimeno, se questo Paese non rispetta gli impegni assunti per servire i propri interessi a discapito dei nostri, allora dobbiamo proteggere il benessere dei nostri cittadini e chiedere a Pechino di onorare le promesse fatte.
La diffusione dei valori fondamentali dell'UE, il rispetto della dignità umana e dei diritti umani, la libertà, la democrazia, l'uguaglianza e lo Stato di diritto dovrebbero essere considerati nel più generale contesto asiatico, con particolare riferimento all'Asia sudorientale. La posizione dell'Unione può essere rafforzata grazie a un'ulteriore promozione dei legami strategici e della cooperazione attraverso gli accordi in materia di investimenti e scambi commerciali conclusi con i paesi vicini alla Cina, specialmente con l'India e la regione dell'ASEAN. Quest'ultima è il terzo partner commerciale dell'UE, in buona misura grazie a partenariati già consolidati con Giappone, Singapore, Vietnam e Corea del Sud. Approfondendo i legami, possiamo fornire gli incentivi per un'ulteriore integrazione economica: ciò spronerà i paesi dell'ASEAN a rafforzare le loro istituzioni democratiche e a rispettare i principi dichiarati. Ricordiamo che la Cina e altri 14 Paesi della regione Asia/Pacifico hanno sottoscritto il più grande accordo commerciale al mondo, che accrescerà l'influenza politica ed economica che la Cina esercita nella regione. Monitoreremo da vicino l'impatto di questo accordo, specialmente per quanto attiene agli elementi normativi di standardizzazione. Esprimiamo cautela quanto alla compatibilità di programmi quali China Standards 2035 con l'impegno dell'Europa fondato sui valori, essendo peraltro a conoscenza delle azioni messe in campo dalla Cina per promuovere sistemi alternativi di governance economica e commerciale.
COVID-19 – Un caso di studio sulle relazioni UE-Cina
La pandemia di COVID-19 funge da caso di studio per molte delle sfide finora descritte che caratterizzano le relazioni UE-Cina.
In una prima fase della pandemia, la Cina ha cercato di insabbiare la portata del problema, nascondendo informazioni importanti, mettendo a tacere informatori e giornalisti in Cina e bloccando le decisioni in seno al Comitato di emergenza dell'OMS. Scegliendo di mantenere il segreto invece di affrontare apertamente una crisi sempre più grave, il paese ha consentito al virus di diffondersi in tutto il mondo e di diventare un problema globale. Quando la COVID-19 è diventata una priorità per gli alti dirigenti cinesi, tutti i canali – tra cui le agenzie di comunicazione cinesi all'estero, gli interlocutori diplomatici cinesi e le aziende cinesi – hanno presentato la Cina come modello di riferimento nella lotta alla pandemia. Il Paese è stato dipinto come benefattore globale che inviava aiuti e attrezzature mediche in tutto il mondo. I media di Stato cinesi hanno riferito solo in parte gli aiuti che il Paese ha ricevuto dall'estero, comprese le circa 60 tonnellate di apparecchiature mediche fornite dagli Stati membri dell'Unione. Le vendite commerciali cinesi, invece, sono state presentate come "aiuti cinesi per amici bisognosi".
La diplomazia dell'UE è stata per ben due volte il bersaglio delle interferenze cinesi, per poi soccombere in entrambi i casi alla pressione. Prima, i diplomatici europei hanno annacquato una relazione della Task Force StratCom del SEAE sulle campagne di disinformazione cinesi durante la crisi sanitaria, in seguito all'intervento di diplomatici cinesi. Poco dopo, le agenzie di comunicazione cinesi hanno chiesto che fossero apportate modifiche a un articolo congiunto dell'ambasciatore dell'UE in Cina e di altri 27 ambasciatori bilaterali degli Stati membri dell'UE riguardante l'origine cinese del virus. Così i diplomatici europei si sono autocensurati.
Per distogliere l'attenzione nazionale dalle critiche riguardanti la gestione della crisi, i funzionari cinesi hanno fatto sapere che il virus era stato portato nel paese da stranieri, senza però menzionare che queste persone, nella maggior parte dei casi, altri non erano che cittadini cinesi che rientravano in patria dall'estero. L'ambasciatore cinese a Londra, in una conversazione con la BBC, non ha voluto ammettere che il virus aveva avuto origine in Cina, sostenendo invece che la Cina era stata semplicemente la prima a scoprirlo. C'è di più: un portavoce del ministero degli Esteri cinese ha utilizzato il proprio profilo sui social media per diffondere la notizia che il virus fosse in realtà un'arma biologica americana. I Paesi che hanno chiesto un'indagine approfondita e indipendente sulle origini del virus sono stati minacciati di ritorsioni economiche e politiche.
Ci troviamo di fronte ad aspetti della concorrenza sistemica con la Cina in diversi ambiti
Per quanto riguarda le relazioni economiche, l'UE e la Cina sono interdipendenti e quindi mercati importanti l'una per l'altra. Eppure, le imprese dell'Unione sono costantemente prese di mira con pratiche discriminatorie, distorsioni del mercato e restrizioni varie in molti settori economici. Le molteplici forme di sussidi disponibili ai concorrenti cinesi, specialmente alle imprese statali, nel mercato cinese falsano ulteriormente la concorrenza. Strumenti analoghi sono poi utilizzati per spingere le imprese cinesi sui mercati dell'Unione, affinché competano con le nostre imprese o le acquisiscano per beneficiare delle loro competenze, diventando così concorrenti ancora più forti per le restanti imprese nell'UE.
Un altro rischio di cui le autorità dell'Unione devono essere consapevoli è la legislazione cinese, che impone alle aziende cinesi di collaborare con i servizi segreti cinesi. È dunque necessario restare vigili in caso di utilizzo improprio dei dati da parte dei fornitori cinesi. Gli interventi degli ambasciatori cinesi in Europa, che minacciano i governi degli Stati membri di adottare misure ritorsive contro le loro imprese operanti in Cina qualora Huawei non entrasse a far parte della loro rete nazionale 5G, sono indicativi di questo tipo di atteggiamento. Ricordiamo inoltre le minacce della Cina nei confronti dei paesi critici della situazione dei diritti umani nel Paese o dei Paesi che chiedono un'inchiesta internazionale sulla COVID-19, come nel caso delle restrizioni commerciali imposte su diverse merci australiane.
L'Unione europea, d'altro canto, è lo spazio economico più aperto al mondo. Gli investimenti esteri sono ben accetti e contribuiscono alla crescita economica. Il nostro sistema, con le sue solide regole sulla concorrenza, gli investimenti e gli appalti pubblici, risulta ben concepito e adeguato per gli attori economici delle economie di mercato liberali. Questo stesso sistema non è però dotato dei mezzi per far fronte alle sfide poste da un'economia guidata dallo Stato che fornisce alle proprie imprese aiuti di Stato a un livello non disponibile alle aziende dell'UE, con l'intenzione di espandersi sui nostri mercati e le risorse per farlo. Di conseguenza, è necessario garantire condizioni di parità attraverso un impegno attivo e significativo con la Cina. A tal fine, il Gruppo PPE accoglie con favore il recente accordo di principio sull'accordo globale UE-Cina in materia di investimenti. Tuttavia, un accordo sugli investimenti non può di per sé risolvere tutti i problemi che inficiano le nostre relazioni economiche e politiche: è infatti necessario garantire disposizioni solide in tutti i settori, come pure meccanismi di attuazione per far fronte agli attuali squilibri e garantire che la Cina e i fornitori cinesi le rispettino. Continua a essere di importanza fondamentale anche lavorare parallelamente a misure di accompagnamento, sia autonomamente che a livello multilaterale, e garantire l'attuazione di normative chiave. Migliorare il nostro corredo di strumenti di difesa del commercio deve essere una priorità. Il recente "Libro bianco relativo all'introduzione di pari condizioni di concorrenza in materia di sovvenzioni estere" della Commissione rappresenta un passo avanti nella giusta direzione; tuttavia, al contempo, va sottolineata l'esigenza di far rispettare i principi di apertura e concorrenza libera ed equa sul mercato interno dell'UE. Alla luce di tale Libro bianco, invitiamo la Commissione a proporre uno strumento per garantire la parità di condizioni. Questo strumento dovrebbe consentire alle imprese dell'Unione di avere successo nell'ambiente competitivo del mercato unico in cui sono presenti le imprese cinesi beneficiarie di sussidi statali. Inoltre, è necessario sfruttare gli strumenti unilaterali dell'UE – ad esempio il previsto sistema dell'UE sugli obblighi relativi al dovere di diligenza per le catene di approvvigionamento o il nuovo regime globale di sanzioni dell'Unione – al fine di colmare le lacune inevitabilmente generate da un semplice accordo sugli investimenti.
Raccomandazioni politiche del Gruppo PPE
La Cina ha appoggiato l'integrazione europea agevolando l'accesso delle imprese cinesi al mercato interno. Questo Paese ha anche sostenuto una voce europea forte a promozione di un mondo multipolare. Cionondimeno, la Cina utilizza strategie bilaterali e multilaterali alternative per aggirare il generale approccio basato sulle regole seguito dalle istituzioni dell'UE. Formati alternativi quali il regime di investimenti 17+1 e la volontà degli Stati membri più grandi di assicurarsi, egoisticamente, accordi individuali sul commercio e gli investimenti per le loro imprese giocano solo a vantaggio della Cina, nella sua applicazione pratica del principio "divide et impera" (che crea una spaccatura nel blocco). Ciò indebolisce la posizione dell'UE e dei suoi Stati membri. Un approccio efficace nei confronti della Cina richiede una politica estera coerente e basata sui valori, perseguita con lealtà dall'UE e dai suoi Stati membri.
Senza un approccio unificato dell'UE che sfrutti la posizione negoziale di tutti i 27 Stati membri, non potremo negoziare su un piano di parità con la Cina. Il Gruppo PPE invita gli Stati membri e le istituzioni dell'UE a parlare con un'unica voce, adottando un approccio coerente e globale a tutti i livelli, e ribadisce la necessità di riforme di mercato e di condizioni di parità per tutte le imprese dell'UE. All'interno delle istituzioni dell'Unione occorrerebbe istituire una task force trasversale sul modello della riuscita task force sulla Brexit, che si è rivelata essenziale nel tenere uniti gli Stati membri nella loro posizione. L'UE deve rafforzare le proprie catene di approvvigionamento per accrescerne la resilienza attraverso vari mezzi, ivi compresi un incremento della produzione propria e la delocalizzazione in Paesi vicini (near-shoring) nel perseguimento della "autonomia strategica aperta".
Per quanto riguarda gli scambi commerciali, ribadiamo l'impegno a promuovere relazioni aperte con la Cina. Sfortunatamente, il persistere di misure non tariffarie ingiustificate, la presenza di barriere tecniche e l'assenza di reciprocità continuano a causare squilibri nelle nostre relazioni commerciali. I sussidi statali in Cina si traducono in eccessi di capacità e pratiche di dumping sui mercati europei e globali. Mentre un approccio puramente commerciale non garantisce il conseguimento degli obiettivi strategici, l'approccio europeo che mira a trovare soluzioni attraverso i negoziati – piuttosto che l'imposizione di dazi, come avviene negli Stati Uniti – non sempre si rivela efficace.
Un caso esemplare è quello del forum mondiale sull'eccesso di capacità produttiva di acciaio, istituito in seno all'OCSE nel 2016 a seguito di una crisi globale dell'acciaio causata da enormi eccessi di capacità cinesi. Tre anni di negoziati non hanno prodotto alcun risultato tangibile e, alla fine, la Cina ha deciso di lasciare il forum a ottobre 2019. Il problema relativo all'eccesso di capacità produttiva di acciaio permane, mettendo a rischio 2,6 milioni di posti di lavoro diretti e indiretti nell'Unione europea
Nel dibattito pubblico ed accademico europeo, Pechino sta cercando di influenzare il dibattito pubblico nella società europea per imporre la propria narrativa politica e mettere a tacere le voci critiche in Europa.
La libertà di opinione, espressione, religione e associazione sono i principi cardine delle nostre democrazie liberali; il pensiero critico in Europa è considerato un elemento essenziale della nostra democrazia partecipativa. Per il Partito comunista cinese, invece, questi principi fondativi del nostro modello europeo appartengono alle "sette correnti sovversive" e ai "mali occidentali" che, in Cina, devono essere soppressi.
Al contempo, la Cina utilizza in misura crescente queste libertà in Europa per definire la propria agenda. Mentre il dibattito trasparente sulla Cina nei nostri mezzi di comunicazione, nelle nostre università, nei nostri think tank e social media è da accogliere con favore e rappresenta un motivo di arricchimento, i mezzi occulti che servono a manipolare il dibattito pubblico devono invece essere contrastati.
Alcuni mezzi d'informazione europei sono stati oggetto di fusioni e acquisizioni da parte di aziende cinesi; di conseguenza, hanno introdotto orientamenti di lavoro filo-cinesi. I profitti derivanti dalla pubblicità e dalle inserzioni sui media cinesi delle istituzioni e delle aziende cinesi vengono utilizzati come leva per promuovere messaggi filo-cinesi e censurare le voci critiche. Le università e i giornalisti europei subiscono pressioni, da parte delle ambasciate cinesi in Europa, affinché si astengano dal rilasciare dichiarazioni percepite come critiche nei confronti della Cina. Le università e i think tank europei finanziati da istituzioni e imprese cinesi o in collaborazione con esse promuovono le opinioni del governo cinese. Anche la vasta rete degli oltre 500 Istituti Confucio presenti in tutto il mondo viene utilizzata a tale scopo. Inoltre, cercano di interferire con i piani di studio delle università occidentali per censurare le voci critiche e le ricerche sulla Cina. Ai ricercatori e i giornalisti europei vengono negati sia i visti che l'accesso alle fonti cinesi laddove il loro lavoro venga considerato critico delle politiche del Partito comunista.
Questi interventi spesso passano inosservati, ma attentano ai nostri valori e principi fondamentali. In contrapposizione all'usuale diplomazia pubblica basata sul potere di persuasione (soft power), è stato coniato il termine "potere acuto" (sharp power) per descrivere queste nuove tattiche della politica diplomatica manipolativa.
La posizione dell'UE sulle tensioni tra USA e Cina
Lo stato delle relazioni USA-Cina ha implicazioni a livello mondiale, specialmente da quando la pandemia globale ha ulteriormente esacerbato le tensioni esistenti. La competizione tra le grandi potenze si sta trasformando innegabilmente in rivalità. In queste circostanze, l'UE è chiamata ad assumere una posizione che le consenta di difendere i suoi interessi e, al contempo, di mantenere rapporti di lavoro con entrambi i protagonisti.
Da un lato, l'UE e gli USA sono uniti dal legame transatlantico, istituzionalizzato nella NATO, che si basa sui principi di democrazia, libertà, diritti umani e Stato di diritto. Il Gruppo PPE si impegna a rinnovare e rafforzare tale legame. L'Unione europea sostiene lealmente gli Stati Uniti, mantenendo l'embargo degli armamenti disposto nei confronti della Cina, e lo fa da oltre 30 anni. Dall'altro lato il mercato cinese, pur con tutte le riserve del caso, costituisce una potente calamita per le imprese europee di ogni dimensione.
È solo attraverso l'UE nel suo insieme che gli Stati membri hanno l'opportunità di restare autonomi dinanzi alla lotta per la supremazia in atto tra Stati Uniti e Cina. Per non essere schiacciata dai due giganti geopolitici, l'UE deve mantenere una politica estera sì basata sui principi, ma anche pragmatica. La difesa del multilateralismo e delle sue istituzioni, come anche il rispetto dell'ordine basato sulle regole, sono essenziali per difendere la posizione dell'UE. Ciò comporta l'introduzione di sanzioni che consentano di difendere gli interessi europei.
Queste sanzioni potrebbero generare, seppur temporaneamente, passi indietro o delusioni. Pechino, per esempio, potrebbe mettere in atto misure ritorsive a danno dei nostri interessi commerciali. Cionondimeno, nel lungo termine questo approccio rafforzerà il sistema internazionale basato su regole trasparenti. Per conseguire quest'obiettivo, l'Unione europea deve assumere un ruolo guida e ridefinire la sua alleanza con gli Stati Uniti. Ciò dovrebbe avvenire anche con altri Stati democratici e ideologicamente simili, che sanno quanto possa essere selettiva la Cina nel conformarsi alle regole internazionali.
Il Gruppo PPE accoglie con favore l'instaurazione del dialogo UE-USA sulla Cina e chiede un dibattito vivace su temi quali i trasferimenti forzati di tecnologia o il rafforzamento delle istituzioni multilaterali, su cui un approccio comune non è solo auspicabile ma anche necessario. Il Gruppo PPE sollecita inoltre l'UE, gli USA e gli altri paesi democratici a perseguire un'ambiziosa agenda di sostegno alla democrazia in tutto il mondo, a contrastare l'autoritarismo strisciante, a sostenere il desiderio di libertà dei popoli e a rafforzare la resilienza democratica.
A seconda dei risultati dei suddetti sforzi, si potrebbe assistere a uno sviluppo delle relazioni UE-Cina sulla base di tre diversi scenari:
a) Scenario positivo – Impegno e cooperazione
In uno scenario positivo, entrambe le parti continuano a collaborare. Ciò consente all'UE di collaborare sia con gli USA che con la Cina, concludere accordi, incrementare gli scambi e innalzare il livello degli investimenti. Tutti e tre i partner lavorano di concerto nel contrasto alle sfide globali quali i cambiamenti climatici, il terrorismo e l'attuale pandemia. Il dialogo regolare è accompagnato da un alto livello di fiducia.
b) Scenario neutrale – Coesistenza e improvvisazione
L'Unione europea accetta i punti di forza dei suoi partner e si adopera per migliorare i propri. La consapevolezza, da parte dell'UE, della crescente concorrenza e gli sforzi da essa profusi per combattere le pratiche commerciali sleali non danneggiano del tutto le relazioni, poiché tutti le parti in causa riconoscono di avere più da guadagnare che da perdere.
c) Scenario negativo – Rivalità e conflitto
Il terzo scenario materializza le conseguenze più gravi. In un ambiente ostile in cui la fiducia è incrinata, il commercio è intralciato e le varie misure ritorsive abbondano, l'UE deve riuscire a destreggiarsi e a fare strategia.
I cittadini europei non accetterebbero uno scontro militare. La possibilità di poter resistere a un'eventuale partecipazione esiste solo in presenza di un'Unione europea forte e unita. La sua forza è definita da una politica estera effettiva e assertiva, nello spirito dell'articolo 24, paragrafo 3, del TUE. L'UE deve essere disposta a sfruttare orgogliosamente i suoi punti di forza (in quanto attore economico forte, donatore di aiuti di rilievo, partner politico fidato, esportatore di un particolare tipo di modello di integrazione). L'unità implica una posizione unificata nei confronti della Cina e degli Stati Uniti, in cui gli interessi miopi e a breve termine non prevalgano sugli interessi generali. Nei confronti della Cina, di base l'Europa deve trarre vantaggio dal suo potere, ben più vasto, di contrattazione collettiva.
L'UE deve prepararsi a una possibile interruzione delle relazioni tra USA e Cina. Nel far ciò, dovrebbe diventare autosufficiente in settori chiave dell'economia cambiando la natura delle catene di approvvigionamento (riportandole più vicino a casa) e incrementando in maniera significativa gli investimenti nel settore della ricerca e dello sviluppo. L'UE potrebbe non essere in grado di arrestare le azioni cinesi, ma dovrebbe almeno assicurare che per esse la Cina debba pagare un prezzo. Nell'ottica di riequilibrare le relazioni con la Cina, occorrerebbe prendere in considerazione un'imposizione risoluta della reciprocità, meccanismi di controllo degli investimenti, nonché limiti all'acquisizione di imprese e infrastrutture strategiche europee sensibili, anche nei settori dell'agricoltura, dell'immobiliare e della tecnologia. Inoltre, le misure restrittive (ossia il regime di sanzioni globale) dovrebbero sempre essere un'opzione disponibile. Una difesa risoluta della libertà e della democrazia rafforza la capacità dell'UE di arginare meglio gli sforzi sistematici della Cina volti a influenzare i politici e la società civile europei con l'obiettivo di plasmare l'opinione pubblica alla luce degli interessi strategici cinesi. Inoltre, l'UE dovrebbe mettere a nudo le tattiche e le azioni predatorie cinesi in paesi terzi vulnerabili, i quali vengono attirati dalla promessa, ad esempio, della Nuova via della seta, per poi finire nella trappola del debito (debiti in cambio di attività).
Un rinnovato dialogo UE-USA sulla Cina – incentrato sugli aspetti politici, di sicurezza, strategici ed economici – potrebbe fungere da piattaforma affinché l'Unione europea e gli Stati Uniti possano comprendere meglio e moderare reciprocamente i rispettivi approcci nei confronti di Pechino ed evitare inutili aggravamenti delle tensioni nella relazione USA-Cina. I leader europei dovrebbero prendere atto del fatto che la politica degli Stati Uniti nei confronti della Cina è una delle poche nella politica statunitense in cui è possibile ottenere un consenso bipartisan.
I legami transatlantici, indipendente da quanto stretti possano diventare i nostri rapporti con la Cina, sono e saranno sempre più forti e più importanti per l'Unione europea. La fede nella libertà e nella democrazia ci unisce agli Stati Uniti, alleato cruciale nei nostri rapporti con la Cina.
Conclusioni
La politica dell'UE nei confronti della Cina dovrebbe essere basata sui seguenti principi: la cooperazione ove possibile, la competizione ove necessario, lo scontro ove inevitabile. Questo approccio consente all'UE di reagire con flessibilità all'evoluzione delle relazioni bilaterali.
L'impegno, tuttavia, richiede un interesse da entrambe le parti e il rispetto delle norme esistenti. Ci attendiamo quindi che la Cina onori gli impegni assunti. L'applicazione selettiva dell'ordine internazionale basato sulle regole è inaccettabile. Ci attendiamo da Pechino non discriminazione e apertura, nonché la disponibilità ad accettare responsabilità e rendicontabilità, che derivano dal suo maggior ruolo sullo scacchiere globale.
Il Gruppo PPE sostiene un impegno con la Cina che sia pratico, pragmatico e basato su principi. L'UE non dovrebbe scendere a compromessi sui propri valori e principi. Il Gruppo PPE invita le istituzioni dell'UE e i suoi Stati membri ad avvalersi di tutti i mezzi necessari per convincere la leadership cinese a trasformare questo stimolante paese in un membro responsabile della comunità internazionale.
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